Marco Apuleio, Cassidia e gli altri. Le lapidi romane a Sant’Apollinare

Il testo è la trascrizione della relazione tenuta nel 1996 da Gianni Ciurletti, dell’Ufficio Beni Archeologici della Provincia di Trento, organizzata dal precedente Comitato di Piedicastello.

 

Prime testimonianze di Roma nella nostra regione sono databili alla fine del III secolo avanti Cristo. Tra queste un tesoretto o deposito votivo proveniente dal Dos Trento e risalente circa al 210 a. C.

Questo non significa che ci fosse già un insediamento romano sul colle, si trattava semplicemente di monete che provenivano dai contatti fra i reti e i romani, derivate o da prestazioni militari di genti locali che aiutavano i romani nelle guerre contro i galli, o come donativo, oppure come merce di scambio, non si trattava comunque di valore monetario vero e proprio. Le monete romane erano talmente rare in quel primo periodo, che non circolavano come mezzo di pagamento, ma erano usate come oggetto di prestigio.

In età romana il Trentino, insieme all’Istria, ambedue territori di confine, costituiva la Decima Regio.

Centro principale del territorio trentino era la romana Tridentum. Una tradizione vuole che quest’ultima nasca a Piedicastello e sul Dos Trento. Alla luce delle testimonianze archeologiche, invece, tutto indica che la città romana sia stata fondata a sud dell’ansa che allora formava l’Adige, tagliando la valle di traverso. Il sito della città fu sempre il medesimo, fino alla città odierna, che si trova quattro metri sopra il livello di quella antica. Per quanto riguarda la data di fondazione di Tridentum, le ipotesi sono diverse e si riconducono alla lapide di Marco Apuleio, la cui iscrizione dice: IMP. CAESAR. DIVI. F / AVGVSTVS. COS. XI. TRIB / POTESTATE DEDIT / M. APPVLEIVS. SEX. F. LEG. / IVSSV EIVS. FAC. CVRAVIT.

La celebre lapide è murata sul lato sud dell’abside della chiesa di S. Apollinare, verso il lungadige a cui ha dato il nome.

Fino a poco tempo fa si affermava che le lapidi provenienti dal paramento murario di Sant’Apollinare venivano da Dos Trento, a suffragare l’ipotesi delle fortificazioni di un castellum. Secondo quest’interpretazione Marco Apuleio, legato imperiale, ossia inviato militare di Augusto, aveva fatto erigere le mura di una fortificazione sul Dos Trento.

La lapide indica una data inoppugnabile: la tribunicia potestas di Augusto, cioè il 23 avanti Cristo. Un’altra ipotesi è che la targa sia stata posta sulle mura di Tridentum, che sarebbe stata quindi fondata nel 23 a. C.

Un dubbio sulla fondazione di Trento tuttavia sussiste e sembra che la città sia stata fondata da Giulio Cesare, vent’anni prima quindi del 23 a. C. anche se l’impostazione urbanistica della Tridentum romana messa in luce dagli scavi risale all’epoca di Augusto.

La data 23 a. C. dimostra comunque che la città esisteva già, anche se la provenienza dell’iscrizione posta su Sant’Apollinare è ignota e non si sa quindi a quale costruzione monumentale faccia riferimento. È possibile che non si trattasse di mura, perché queste solitamente erano erette non dallo stato, tanto meno dagli imperatori, ma erano finanziate dai maggiorenti della città. Sia le mura che le porte venivano curate ad opera delle autorità locali. Trento, denominata

nei documenti “splendidum municipium” è stata sufficientemente indagata dagli scavi archeologici

per affermare che era una città piuttosto piccola, ma che si era estesa oltre la cinta murata che passava per piazza Cesare Battisti, piazza Duomo e via Rosmini.

Tracce di insediamenti sono stati rinvenuti anche a nord dell’ansa dell’Adige, come alla Centa, zona un tempo paludosa, in piazza Dante e, recentemente, anche sotto la chiesa di San Lorenzo, dove sono stati rinvenuti elementi sparsi, anche se modesti, come strutture murarie e ceramiche tardo romane.

Che ruolo hanno avuto Piedicastello e il Dos Trento in età romana? Rasmo, con il suo bellissimo libro S. Apollinare e le origini romane di Trento, ha dimostrato che la tradizione secondo la quale le lapidi conservate nei muri di Sant’Apollinare provengono dal Dos Trento è sbagliata: Lo ha dimostrato facendo notare come alcune grandi lettere, probabilmente appartenenti a una scritta monumentale, abbiano dei riscontri nei frammenti ritrovati a S. Maria maggiore.

Partendo da questo fatto è molto probabile che i frammenti di iscrizioni della chiesa di Sant’Apollinare non provengano dal Dos Trento, ma che siano stati portati fuori nel momento in cui la città romana era ormai in decadenza.

C’era bisogno di un muro di difesa per il Dos Trento, in età gotica o teodoriciana, allora si portò fuori dalla città il materiale edilizio necessario derivandolo non solo dalle case, ma anche dai monumenti, ormai quasi in rovina. Non era una prassi nuova, il caso più eclatante è quello di Aquileia..

Ecco quindi che si cominciano ad aver dubbi sulla funzione del Dos Trento. E’ pur vero però che dal dosso provengono materiali che stanno a indicare che lassù, se non ci fu la città vera e propria, ci fu comunque qualcos’altro.

Una lapide dedicata a Diana, conservata al Buonconsiglio, una a Mercurio, una a Saturno provengono dal Dos Trento e furono ritrovate durante gli scavi effettuati nell’Ottocento, così come tamburi di colonna e un paio di capitelli e ancora una serie di bronzetti raffiguranti Mercurio e Minerva, ornamento quest’ultimo di una corazza. Altri oggetti ritrovati sono un peso da bilancia in forma di maialino, un pezzo eccezionale, quasi certamente fabbricato a Pompei o in uno dei centri manifatturieri della Campania, un pezzo di cui esistono al mondo pochissimi esemplari, anch’esso

conservato al Buonconsiglio. Sappiamo che in età romana il maiale era simbolo di fecondità. Sulla statuetta in questione è inciso il numero XXX, che indica il peso di trenta libbre, ossia nove chili e otto etti. Il bronzetto serviva proprio come peso di bilancia e oggi pesa quattro chili in meno a causa della fuoriuscita del piombo di zavorra. Il manico è a forma di doppio pollice..

Questi ritrovamenti indicano che sarebbe opportuno fare una serie ulteriore di indagini per poter capire che cosa è rimasto sul Dos Trento e appurare quello che Rasmo negava, il fatto che fosse un’acropoli trentina, una zona sacra. Bisogna ricordare che le città romane dell’Italia settentrionale, e quelle della Decima Regio in particolare, sono tutte nelle adiacenze di dossi: il colle di San Pietro a Verona, il Cidneo a Brescia, il dosso di Sant’Andrea a Belluno e su tutti questi dossi si costruì. Di solito si trattava di una zona di ville, oppure ai piedi del dosso c’è un teatro e sopra il teatro, al culmine, un tempio.

Non vedo perché Trento non possa avere le caratteristiche di queste città che furono costruite o organizzate urbanisticamente nello stesso periodo di Trento, con la quale avevano caratteristiche comuni. Può essere quindi che anche sul Dos Trento ci fossero edifici a carattere sacro o cultuale, come starebbero a dimostrare bronzetti ed epigrafi votive.

Rasmo faceva anche una considerazione interessante: come si presenta oggi, la chiesa di Sant’Apollinare è frutto di un rifacimento molto sostanzioso, se non totale, all’inizio del XIV secolo, occasione in cui la vecchia chiesa viene abbattuta. Questo significa che se il materiale romano fosse stato impiegato nella costruzione della prima chiesa non sarebbe stato impiegato nella seconda.

Rasmo suppone dunque che quando fu costruita la prima chiesa, nel XII secolo (il cui perimetro è stato completamente messo in luce dai recentissimi scavi), quel materiale non era a disposizione ed è probabile facesse parte di qualche struttura muraria in loco dalla quale non era possibile estrarlo. Ciò fu possibile solo nella seconda ricostruzione, quando fu riutilizzata parte del muro teodoriciano.

Lo studioso faceva riferimento a questo muro, ancora oggi visibile in casa ex Zadra, dove Ranzi lo aveva già individuato nella seconda metà dell’Ottocento, ipotizzandolo come un grande perimetro che racchiudeva il Dos Trento formando una poderosa cinta muraria. È da questa muraglia che i ricostruttori della chiesa di Sant’Apollinare nel XIV secolo si rifornirono di materiale e utilizzarono i reperti romani inseriti nel muro per ornare la chiesa stessa. Se il muro tardo romano fosse stato utilizzato come riserva di materiale edile anche per la chiesa più antica, noi troveremmo delle lapidi

romane anche nel campanile, che è ancora quello della chiesa duecentesca.

Elementi lapidei romani sono presenti invece solo nelle murature della chiesa attuale, che risale al Trecento, nonché nella canonica (ex casa abbaziale) anch’essa trecentesca.

Alcuni pezzi di rimpiego di età romana sono anche molto antichi, probabilmente del I secolo avanti Cristo e provengono da costruzioni monumentali, come templi e non certamente da case private. Sono cornici modanate, un rilievo raffigurante un cervo, cornici a rosette, elementi di trabeazione, elementi di una tomba a dado (un bucranio, triglifi, metope, rosette…) tutti visibili nelle lesene del lato nord della chiesa. Quindi , verso l’abside, un grifone, una lapide dedicata a Faustina, moglie o figlia dell’imperatore Antonino Pio, della metà del II secolo dopo Cristo.

Si tratta di lapidi dedicatorie, ciò significa che normalmente sopra la scritta, posta su uno zoccolo, c’era un’immagine. Anche questo fa pensare – sottolinea Rasmo – che tutti questi elementi dovevano essere nel foro di Tridentum (la zona dell’attuale Santa Maria Maggiore), dove si trovava anche l’edificio monumentale con la scritta a caratteri cubitali, in parte murata a Sant’Apollinare, in parte al Buonconsiglio.

Nella chiesa di Sant’Apollinare c’è anche la lastra di Marco Apuleio. Non ha molto spessore e quindi doveva essere solo appoggiata. Non costituiva dunque un monumento a se stante.

Da ricordare infine le lapidi murate sulla parete sud, quella di Cassidia e un’altra dedicata all’imperatore Gallieno, lo stesso che fece ampliare le mura di Verona.

La chiesa di Sant’Apollinare è quindi un vero e proprio museo, che innesca un discorso di tutela e di valorizzazione di questo materiale, esposto per secoli alle intemperie e ora ai danni dell’inquinamento. Sarebbe opportuno portare al coperto questi preziosi reperti e di sostituirli con copie, soprattutto gli elementi che si trovano a lato del campo sportivo.

Un primo intervento di tutela sarebbe quello di trasformare il campo in area verde e magari mettere in luce le fondazioni del muro tardo romano proveniente da casa ex Zadra.

 

A cura di William Belli
Piedicastello, luglio 2009