Parroco di Piedicastello dal 1946 al 1958

 

La baracca dei Comunisti

 

Nei pressi dell’Italcementi confinante con il “Bersaglio”, presso l’opera “Bonomelli sorse nel dopoguerra la baracca”Rossa”. Si era nel 1946. Sorse sul terreno comunale denominato le “Grasse”.

Fu Enrico Cagol detto “Ricco”, dipendente del comune, a rimediare una baracca del Genio Militare, montandola e ristrutturandola perché divenisse la sede di rione dei socialisti assieme ai comunisti.

Tra i comunisti c’erano Ferruccio Sandri e Omero Rigetto detto”Bepi barber”, usciti dalle galere fasciste, e poi i fratelli Varesco,Depaoli. Tra i socialisti gli elementi più in vista erano Giuseppe Furlani e i fratelli Menestrina. Erano i tempi dell’alleanza di comunisti e socialisti, entrambi al governo e poi del Fronte Popolare. Fu l’unico esempio in città, rimasto tuttora tale, di una sede comune tra comunisti e socialisti che usavano la baracca come luogo di riunione ma anche per attività culturali e ricreative, perfino per balli, tra lo scandalo dei benpensanti del rione che vedevano la baracca come covo di eretici peccaminosi.

Era allora parroco del quartiere don Luigi Moresco ribattezzato negli anni seguenti, quando furono conosciuti i libri di Guareschi sul ciclo di Don Camillo e specialmente quando apparvero i film con Fernandel e Gino Cervi, “don Camillo”.

Con il personaggio immortalato dall’interpretazione di Fernandel, don Luigi aveva una grande rassomiglianza: era alto, ossuto, con le orecchie a sventola. Ma la somiglianza era soprattutto morale: era il parroco della povera gente. Aveva adottato una piccola orfana, la “Mariotta “ ed era noto per le sue visite alla povera gente: quando se ne andava , senza che nessuno se ne accorgesse , lasciava magari sotto il cuscino della sedia , alcuni danari preziosi , per tirare avanti. La sua perpetua, la Bepina (dovrebbe vivere ancora dalle parti di Spormaggiore), era disperata perché don Luigi “dava via tutto”, era ridotto senza niente.

Dunque, un giorno don Luigi girava per le case per la benedizione : tutti quelli che potevano gli davano qualcosa . Passando davanti alla baracca dei “rossi”; aveva un cestello con delle uova .

Davanti alla porta della baracca c’era qualche”rosso” : “ Valo a benedir, don Luigi? E noi, no sénte da benedir?” gli disse qualcuno. “Zerto” disse il parroco.

Dovette poi piegarsi per entrare dalla porta della baracca “rossa”. Benedisse l’ambiente e poi accetto un bicchiere di vino. Lo scandalo fra i più retrivi fu grande. La cosa fini in Curia . Si parlò anzi si diede per certo il trasferimento del parroco altrove. Fu allora che Cagol , che essendo segretario della sezione comunista era un po’ il Peppone della situazione , disse la storica frase: “Che el vaga pur don Moresco via da Pedecastel: ma preti dal pont de S.Lorenz no ‘n ven dentro altrì!”. Don Moresco fu chiamato dal vescovo ed invitato a giustificarsi per aver benedetto i “rossi”: “Ma come, se a Piedicastello son tutti rossi!” rispose don Luigi. E poi spiego che per lui , per il parroco, rossi o no erano tutti eguali. Comunque invitò il vescovo a fare una visita nel rione. E tra il coro parrocchiale che dava il benvenuto al vescovo tutti poterono vedere alcuni coristi che ostentavano bene in vista il distintivo con la falce e martello. La gente si ricordava anche che nelle elezioni della Costituente, nel ’46 avevano avuto la maggioranza nel rione i socialisti e sul campanile di S.Apollinare era apparsa una bandiera rossa. Furono raccolte centinaia di firme e don Moresco rimase a Piedicastello: Solo verso il 1962 la baracca “rossa” venne demolita.

Tratto da: GENTE DI QUARTIERE –Storie di vecchi rioni di Trento – di Renzo Francescotti – editr.Innocenti

————————————-

“Memorie di Guerra” di Luigi Moresco

 

Ndr:  Dato la lunghezza del testo ho dovuto mettere parecchi e vistosi omissis, chiedo scusa ai lettori; chi volesse il testo originale può mettersi in contatto con info (chiocciola) piedicastello.tn.it.

“Brevi ricordi della mia vita militare” Trento nel dicembre 1918 Luigi Moresco

“Chi non dice sempre il vero a sé ed agli altri è vile e disprezzabile”

A mo’ di introduzione.

Richiesto di parlare di me, il che fo di malavoglia, non per vergogna di esporre le mie azioni, ché, quantunque timidissimo di natura , non arrossisco di nessuna, ma per essere, come sempre fui, nemico de’l parlare di me; pure per obbedienza m’induco a farlo.

Chi trovasse dei barbarismi, de le sgrammaticature , de la ineleganza, in fatto di lingua , voglia scusarmi , pensando a quarantadue mesi de’l mio esilio; che non trovasse la necessaria proporzione o la bella desposizione de le parti, non essendo questi cenni tratti da un diario , ma da una labilissima memoria , pensi che sono obbligato d’accontentarmi di quanto, nella fuga de gli avvenimenti , mi restò impresso più vivo; chi poi, sedendo a scranna, giudicasse errato il mio modo di diportarmi ne’ varii incontri, pur essendo liberissimo di farlo , si metta, prima di pronunciar l’anatema , un po’ nei miei panni , ne’ l’ambiente in cui mi trovavo e nella mia inesperta giovinezza:(quando scrive aveva 21 anni) e se non può compatirmi, condanni. Omissis

La Partenza 20/05/1915

Era il mezzodì d’un radioso giorno di maggio del 1915; la fatale sentenza era piombata; ed io com’altra delle fiere umane, ero lanciato in un cortiluccio stretto e chiuso, cinto da guardie dove c’erano tutte le voci che Dante udì ne l’entrata in inferno: “quivi sospiri , pianti ed altri guai, diverse lingue , orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fiocche; ed io,entrato la, mi credetti uno de’ dannati. Il mio cuore era lacerato: pensavo a’ cari miei , che pochi mesi prima avevano perso un figlio sul campo, ed ora forse ne perdevano un altro , Ed essi, i miei cari,mi guardavano piangenti da i vani di una sbarra , m’accennavano con le mani, mi chiamavano, singhiozzavano; ed io tentavo un volto sorridente, ma non ero capace, mi voltavo e piangevo : Alla fine le donne ottennero di poter entrare : taccio la scena dei baci, d’abbracci,di lacrime, di pianto della mamma mia; mentre fuori mio padre e i miei fratelli mi guardavano muti,impietriti dal dolore…

È una scena viva , toccante, che si scolpisce, come da ferro rovente, nel cuore, ma indescrivibile. Venner le cinque: ancora una parola, un abbraccio, un bacio… e già le baionette ci dividono. Fummo introdotti ne la stanza , dove si doveva passar la notte; serrati l’un l’altro, sul nudo pavimento, vestiti: ò chiuso gli occhi? Non so; ma sognavo, addormentato o desto: e che sogni! Me ne rabbrividisce il ricordo, onde taccio e proseguo: questo fu il primo dì della mia iliade e de la mia odissea.

21-22/5/1915 omissis 23-24/5/’15 omissis Il viaggio 25/5/’15 omissis

In Enns 26/5-4/12/’15

Questa vecchia città, co’ le sue strade sporche, le case mal costruite, qua e là i tetti di paglia, i suoi costumi rozzi, quasi ributtanti, il suo patriottismo cieco e vivace, m’offri stanza oltre sei mesi. Non novero le fatiche in essa sofferti: le notti vegliate in esercizi, le alzate troppo mattutine, le baracche, gli stimoli de la fame, i freddi più volte sofferti, que gli di certi innominabili, i mali trattamenti, i disprezzi… sarebbero una litania più lunga di quelle de’ santi. Ma io resistetti a tutto: agli eccitamenti ora amichevoli, ora arroganti; a le cure de ‘ comandanti troppo solerti, a gli strapazzi, a mille altre cose.

La mia gracile personcina, incolta, incurante de’ precetti militari, irriducibile ad ogni disciplina, nemica del de’ l parlare straniero, debile, mingherlina, era come una caricatura del militarismo: e, quando in piazza facevo esercizi d’arma, il mio braccio, sottile e macro, si piegava a terra, lasciando cadere quel’arma, il secondo dio del soldato, secondo loro… omissis

Venne il 4 novembre, ed io, che non avea voluto imparare il tedesco, dovevo riceverne il meritato castigo. In vece che a le scuole per gli ufficiali di riserva, al campo. Che mi restava a farer? Pronunciare un “fiat”.

Fui posto a la IV compagnia, la quale divenne il tredicesimo Nord—Transport, e co’l quale dopo molte fatiche ne le prime brine e ne le prime nevi di quel fredissimo inverno, a’ quattri di dicembre, partivo per il campo.

Il secondo viaggio… omissis

All’alba arrivammo a Vienna. In questa bella e gaia città si restò dieci giorni: si mangiava, si passeggiava, si cantava, si dormiva; e le viennesi gentili applaudivano a’ nostri canti nazionali e ci regalavano sigarette e confetti. .. Omissis

Presso gli zappatori 5/9 27/12 15-5/1 1916 omissis

Il primo inverno coi pionieri 5/1-4/6 1916 omissis

La ritirata de’l ‘16

La mattina de’l 4 giugno, ci risvegliò il cannone: una fitta grandine di proiettili si scaricava su’l paesello dov’eravamo. I più per fortuna non esplodevano. E quella grandine durò tutto il santo dì, or più or meno fitta e violenta, ma ininterrotta.

La sera si dovette andare a riparar i reticolati; era subentrato un po’ di silenzio e noi, sott’una grande quantità di razzi, lavoravamo. I russi però non ci disturbavano.

Ancor durante il ritorno ricominciò la cannonata; noi però, stanchi da le fatiche, sdraiati su la vecchia paglia per l’ultima volta, riposammo. Quando mi svegliai era giorno avanzato, gli altri passeggiavano già nervosamente, e mi raccontarono di ferimenti ed esplosioni ne le nostre stesse baracche. La cannonata era continuata forte, terribile, ed io avevo dormito placidamente. A mezza mattina si cominciò a disertare le file;persone sole, a gruppi, correnti,trascinanti, chi una gamba lentamente, chi un braccio ferito; chi era ferito alla testa, lesi ed illesi, molti si ritiravano. Per compire il panico, due aeroplani nemici lasciavano cadere sur una povera compagnia di poveri lavoratori, accampata vicino a noi, due bombe: vi furono una decina di morti, più di quaranta feriti. Allora non ci fu più persona calma; tutti fuggivano. E la sinistra cannonata, i rombi, e sibili, i fischi, gli scoppi, continuavano co’l ritmo duna musica infernale. Mi guardai attorno, eravamo rimasti in tre. Quand’ecco s’ode un sibilo più vicino, un tonfo: il tetto è rotto e le disperate grida d’un disgraziato percosso da la granata, che per bontà di Dio non iscopiò, fendono l’aria. Si corre pe’l medico; si porta via l’infermo, e anche noi, superstiti fortunati, battemmo i tacchi, com’avevan fatto gli altri:la confusione la fuga erano generali. Per quella sera e quella notte ci servì di rifugio un bosco; ma i russi avanzavano, i nostri eran quasi tutti o prigionieri o massacrati, le riserve s’indebolivano e cominciò il bombardamento del bosco. Allora, con le poche robucce salvate, ci mettemmo in marcia; e cammina, cammina non ci si fermava più; già ai primi chilometri mi dolevano i piedi e le spalle: avanti, avanti: Presto la sete ci ardeva e non c’era di che appagarla: chinavamo la fronte riarsa su le pozzanghere sporche de la strada e bevevamo; mentre il medico ci minacciava correndo forsennato su’l suo cavallo, con la rivoltella in mano, non giovava nulla: la sete era indomabile, superiore a la ragione. Dopo oltre 45 km di viaggio, per colli, per valli, per boschi ci fermammo stanchi(si può pensarlo!) ma a che? Non a dormire, non a riposare; a lanciare un ponte sur un fiume. E quel ponte si dovette fare e disfare ben tre volte,ne la confusione de gli ordini e contr’ordini di quella notte infausta. Solo sul far de’l giorno riposammo due ore per poi riprendere la ritirata. Vicino a Luck venne ordine, la sera, di gettare un altro ponte: si avanzò contro il nemico per provarsi: la città era ormai in fiamme. Una ben nutrita fucileria ci accolse, onde retrocedemmo, e come avevamo marciato tutto quel giorno, si dovette marciare tutta quella notte: aveva piovuto, e bagnati in un prato bagnato s’ebbe un po’ di riposo: i più s’addormentarono. Ridestati si marciò avanti, finché esausti di forze, ci dovemmo fermare un giorno. Di qui si cominciò a far saltare ponti, a distruggere case e paesi, ancora abitati, da reparti lasciati indietro dalla compagnia; non istarò a narrare queste barbarie, né i molteplici e molti rubamenti, né le nostre ulteriori fatiche; dirò solo che, giunti a Wladimir Wolinscki il comando volle fermare e fermò le orde nemiche. S’ebbero in ciò molti combattimenti, a’quali, purtroppo, presi parte anch’io, ma solo passivamente. omissis

Dopo l’offensiva 20/7 1916 16-20/5 1917 omissis

In Transivania 20/5-22/6 1917 omissis

Verso l’Isonzo 22/6-30/6 1917 omissis

L’undicesima offensiva su l’Isonzo 30/6-17/7-2/11 1917 omissis

Su’l Roitschi Vrh 27/9-2/10 1917 omissis

Verso la Rumenia 15/12 1917-8/3 1918 omissis

Un altro viaggio 8-15/3 18-20/4 1918 omissis

In Wasylkowka 25/4-20/5 1918-16/7

Gli ultimi giorni in Ucraina 16/7-19/8 1918

A Bolzano 19/8-10/10 1918 omissis

Al Piave e a casa 10/10-18-13/11 1918 omissis

 

In vece di conclusione

Passata così in rivista “ per summa capita” questa dolorosa storia, pur restando tuttavia in descritte molte circostanze e fatti che concederebbero varietà dilettevole a la narrazione, tante cose che,mancando, non solo rendono più noiosa la lettura, ma la fanno quasi inintelligibile, mi fo a ringraziare il lettore, se alcuno leggerà,e Dio sovra tutto, d’avermi mostrato i lati cattivi del mondo, senz’avermi lasciato perdermi la vocazione, anzi viepiù infervorandola, alla contemplazione de la corruzione quasi universale e prego e spero che, com’allora per le preghiere de’miei cari mi salvaguardò da tutto, così in avvenire m’aiuti a vincere le difficoltà che mi s’opponessero o da le tentazioni del mondo o da la povertà di mezzi materiali in cui sempre versai ed ora, più del solito, verso. Persuaso che nulla posso da me e tutto posso con la grazia dell’Onnipotente a Lui mi raccomando e prego mi si raccomandi, sicuro che le preci non resteranno deluse. Succeda però quel che Dio vuole, a Lui mi sia sempre gloria, e tutta la gloria in eterno.

—————————————————–

A cura di Remo Liberi e-mail liberi@alice.it