Da passeggiate Trentine del Sacerdote Gabriele Rizzi
Libreria Moderna ed. A.Ardesi & C. 1931( continua dal volumetto S.Apollinare 2010)

Ed ora passiamo a visitare il nostro S. Apollinare. Il suo portale romanico pare nuovo, perché con poco senno, appena scavato venne battuto dallo scalpellino e venne fatta a nuovo l’ architrave simile a quella del Duomo e raggiustate con poco gusto le figure delle bestie al basamento.

Osservate ancora un resto dell’ antica facciata, cioè le pitture che sono certamente del Secolo XIV. Quella a destra rappresenta la leggenda di S.Cristoforo, e quella a sinistra dei santi benedettini. Su questa parte della facciata si trovava un affresco rappresentante., alla maniera dei bizantini, la madre di Dio con il Bambino fra le braccia. Il buon Passi aveva fatto levare quell’ affresco e portare nell’ interno della chiesa dove gli si eresse un altare assai venerato ancor

oggi sotto il nome di “Madonna di Piedicastello”. Così la tradizione.

Degno di attenzione è il bellissimo sarcofago con il rispettivo baldacchino gotico. Osservate queste graziose colonnine a funicella che sopportano i coperchio contornato da fregio assai fine.

E gli angioli che portano in cielo quel pio monaco, quanta pace sanno ispirare! Peccato che il baldacchino sia stato coperto così stupidamente dalla calce dell’ imbianchino.

Deve essere stato dipinto assai bene, se son cosi belli quei resti di bordure che fan capolino di sotto di sotto la calce.

Ora entriamo nel tempio: voi intendete tosto la sua figura planimetrica, due bei quadrati sui quali s’ innalzano le robuste muraglie perimetrali , sopra le quali con il sostegno di quattro pennacchi si voltano due bellissime cupole a spicchi romanici.

Queste cupole devono essere state dipinte, come ne fan fede quelle teste racchiuse nei tondi su l’ imbotte della seconda cupola. Le due colonne, che sopportano l’ arco trionfale sono bizantine.

Riescono tozze, perché come dissi, sono state in gran parte seppellite. E così vedete la sproporzione , che passa fra l’altezza delle due celle quadrate e quella della cupola causate dall’ innalzamento del pavimento.

Per torre l’ umido nitroso dalle pareti il preposito monsignor G.B. Zambelli dopo il 1882 fece rivestire le pareti interne di pietra rossa , rivestimento che vorrebbe essere continuato fino ai pennacchi e darebbe bel aspetto alla chiesa.

Le pareti sono state di certo dipinte a fresco, come ne facevano fede a mio ricordo parecchi fregi che l’imbianchino aveva risparmiato.

Un bel dipinto di scuola tedesca sul legno, è la palla di S.Apollinare. Osservate l ‘ideografia cristiana usata nel medio evo: per darci l’idea della grandezza del santo e della sua potenza presso Dio, lo dipingevano di forme superiori al naturale e i devoti ai suoi piedi piccini, piccini. Ora potete comprendere il perché della sproporzione, che passa fra la figura di S.Apollinare e del canonico o del monaco, che lo prega ginocchioni. A destra dell’ altar maggiore avete l’ altare della Madonna, del quale vi dissi, contornato da moltissimi ex voto, che attestano la devozione dei cittadini verso questa venerata immagine.

Intorno a questa ho udito parecchie volte narrare, che dei soldatacci tedeschi o francesi alla fine del secolo XVIII l’hanno ferita alla fronte e così pure il Bambino. Voi potete intendere che è una pia invenzione, che quei lividi, che il pittore ha fatto sulla guancia della Madre divina e del Bambino non sono che un simbolo del peccato, per esempio, della bestemmia, brutto insulto alla maestà divina.

foto G.F. BERNARDINATTI

Altra pittura degna di osservazione è il quadro sopra l’ arco trionfale. Anche questo è su legno e rappresenta Gesù flagellato. E’ stato scoperto nel 1887, quando una ventata aveva staccato il quadro di S.Apollinare . Si trovò che era dipinto da ambo le facce e che serviva da pala nel coro dei monaci. Sopra la porta sta appeso il quadro, che rappresenta la processione del Corpus Domini in Vaticano al tempo di Clemente XII. Voi vedete il Sommo Pontefice in sedia gestatoria, che adora il SS. Sacramento, indi tutti i dignitari della Chiesa, le truppe pontificie , e nello

sfondo la più grande basilica della Chiesa cattolica, S. Pietro, con la meravigliosa piazza ellissoidale cinta dal porticato del Bernini.

Usciamo ora a dare un’ occhiatina alle due pareti laterali.

Giriamo lungo la parete settentrionale. Quanti frammenti di edifici romani! Questa chiesetta si può chiamarla una costruzione per eccellenza frammentaria.

Infatti su questo primo contrafforte, detto anche parasta lombarda, trovate un grifone, avanzo di un fregio che apparteneva certamente, date le sue proporzioni, ad una trabeazione assai grande.

Eccovi frammenti di lapidi, dai quali si rileva qualche nome romano. Sulle altre paraste trovate ancora pezzi di fregi un po’ rozzi, se si vuole, ma sempre di grandi dimensioni.

Giriamo la piccola abside fatta ricostruire dal preposito Zambelli con begli embrici verdi che armonizzano con le verdi sponde dell’ Adige, e ci troviamo alla presenza di una lapide, che a detta di molti archeologi è forse la più importante che noi abbiamo per antichità e valore storico.

E’ un insigne monumento epigrafico, che risale al 23 a.C., cioè ai primi anni dell’impero di Ottaviano Augusto, quando egli non aveva ancora compita la conquista della Rezia e dei popoli alpini.

Questo prezioso monumento occupava di certo un posto distinto sulla facciata di qualche fortilizio o palazzo romano.

Voi non conoscete la lingua meravigliosa degli antichi nostri padri; vi leggerò la iscrizione tradotta nella nostra: L’ imperatore Cesare Augusto figlio del divo Caio Giulio Cesare, console per l’ undicesima volta, insignito della potestà tribunicia – diede(forse l’ ordine, l’incombenza a M.Apuleio).

Marco Apuleio – figlio di Sesto – legato – fece fare per comando di lui.

Come potete intendere l’imperatore romano 23 avanti Cristo teneva in Tridentum un suo legato, che comandava ad una legione di soldati.

Da ciò risulta evidente che la nostra patria era romana ancor prima di quell’ epoca. Vorrete poi sapere quali ordini avrà dato a Marco Apuleio, che era parente dello stesso imperatore. I dotti che si sono lambicati il cervello per trovare l’ oggetto di quel verbo diede, sono quasi d’ accordo col ritenere che Augusto abbia comandato a Marco Apuleio di costruire o sul Verruca o ai piedi del medesimo un fortilizio, che servisse di difesa alla frontiera italica compiuta dai due

figliastri di Ottaviano, Druso e Tiberio, con la conquista dell’ intera Rezia nel 15 avanti Cristo.

Vi meraviglierete, figlioli miei, nel vedere murata qui in un luogo solitario una lapide di tanta importanza. Avete ragione. E dobbiamo essere grati al M.r Zambelli che la fece levare dal basamento, dove giaceva quasi sempre nascosta dai virgulti e da ortiche.

Per buona sorte il governo nostro ha disposto per la istituzione di un museo lapidario in una delle sale del nostro castello. Questo museo accoglierà tutti questi preziosi documenti, classificherà e ne renderà facile la interpretazione, sarà un nuovo argomento per far dire ai giovinetti trentini quella fiera parola che Paolo, l’ apostolo, disse all’ ebreo:Civis romanus sum.

 

A cura di Remo Liberi