(pittore e poeta)

Borgo Valsugana TN, 17.10.1914 – Trento, 15.2.1977

Arcadio Borgogno, figura assai nota al pubblico Trentino, viene giustamente considerato dalla critica, uno dei grandi poeti a livello nazionale; le sue liriche in vernacolo hanno raccolto significativi riconoscimenti anche a livello internazionale; ma questo non deve far dimenticare che prima di essere poeta, lui era un valente pittore, come dimostrato dalle opere che ci ha lasciato.

Una tela della via Crucis da lui dipinta è stata recentemente collocata all’interno della chiesa del Santissimo in Trento.

Sono 35 anni che Arcadio ha lasciato la sua amata terra, ma ancora vivo è il ricordo di chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene.

Persona assai schiva, ove l’orgoglio per i riconoscimenti ricevuti sia in campo nazionale che internazionale non viene pubblicamente palesato, è portato all’attenzione del grande pubblico solo dopo la pubblicazione dei suoi libri di poesia sia in vernacolo che in italiano.

Le Sue liriche di rara fattura, la dolcezza e la spiritualità dei versi che inducono l’estimatore a capire il livello del suo Io più profondo, sono a tutt’oggi la base per molti poeti nell’avventurarsi in un campo, in cui emergono solo coloro provvisti di grande talento e sensibilità.

Tutta la sua vita è stata ossessionata dall’ incombenza della morte ed i suoi carmi ne sono profondamente pervasi, anche se in misura delicatissima; d’altronde i suoi versi pur nella loro forza espressiva non giungono mai ad esaltare il ricorso a forme violente nel porre fine alla vita, ma subiscono l’ineluttabilità del fato.

Vissuto per molti anni all’ombra del campanile di San Apollinare e sulla riva del fiume Adige, collegamento virtuale con la città di Venezia, che il poeta considerava la sua vera patria – città in cui studiò e che rappresentava la sua quintessenza artistica-, presenta nelle Sue liriche molti bozzetti, anche tragici, su quanto si svolgeva sul Fiume; ma molti altri acquerelli rappresentano la città della laguna.

El siar de le gondole/ dento ‘n le sine d’acqua tute a s-ciume,/e i gabiani, dessora, co’ le piume/bianche, che trema ‘n le ale destendude,

Oppure :

I ha pescà ‘n om en l’Ades l’altrasera:/ i oci voidi, la facia rosegaga./ i l’ha tirà su l’erba, arent la strada; ma nissuni i saveva chi che l’era.

Così tutti i versi di Arcadio sono pervasi di dolore, sentimento e amore, ma il poeta è ben consapevole della potenza dei suo versi e dell’autenticità del suo sentimento, come nel sonetto Tut l’è color en mi :

Cristo, te vedo su la cross, co’ i ciodi/ ensanguinadi ‘n te le man spacade;/ te vedo i segni adoss de le vis-ciade,/ e so che te perdoni e no te odi.

Questi versi sembrano quasi una richiesta di aiuto e di perdono verso una Entità che Arcadio riconosce superiore, anche se a volte nei suoi versi disperati, si chiede il perché di una vita difficile e dura che gli opprime il cuore ed il cervello e che Dio gli ha riservato.

E tutta la sua vita, i suoi sentimenti, le sue angosce rimarranno indelebilmente impressi nei suoi scritti e nei suoi carmi.