Lungo via Dos Trento, subito dopo l’incrocio con via Caio Valerio Mariano dove ora, come unica ed ultima memoria si eleva un grande pino, ricordo che fino a qualche decennio fa c’era quella che noi ragazzini della zona chiamavamo “LA FABBRICA DELLE BROCCHE”. Come risulta dagli atti gentilmente messi a disposizione e tratti dal Fondo Storico Bibliografico del Servizio Documentazione della C.C.I.A.A. di Trento si può affermare con certezza che già nel 1913 la fabbrica era in funzione e denominata come “TRAFILERIE – PUNTERIE TRENTINE HALLIER & VAVPETIC S. A G. L.” La “Trafilerie Punterie Trentine Hallier & Vavpetic “ società a garanzia limitata, con sede in via Dos Trento n.2, inizia dunque l’attività nel 1913. Produce trafilerie, punterie, reti metalliche, serrature, broccami ecc. ed impegna mediamente cinquanta operai.
Nel 1924 la società si trasforma in società a garanzia limitata portando il capitale a centomila lire e definendo ulteriormente la produzione, aggiunge ai prodotti precedenti molle per letti, filo di ferro e lamiere di ferro, tubi e gomiti per fumo ed articoli affini. I soci sono Arturo Hallier, Carlo Vavpetic, che è anche l’amministratore, Guido Eller, Andrea Cainelli e Rudolf Weitscheck.

Siamo nel 1932 e la Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 20 luglio riporta che la Hallier & Vavpetic è in liquidazione, effetto forse della terribile crisi finanziaria del 1929.

Altra fabbrica era la “I.M.B.E.T.” Industria Meccanica Broccami Elettrica Trentina con sede in via Dos Trento n.7, che produceva broccame da calzature, ribattini in ferro, in rame e in ottone, puntine di precisione, punte speciali per sellai e tappezzieri, puntine da disegno ecc.

La società fu fondata nel 1921 da Camillo Delai ed eretta nel giugno 1923 in società a garanzia limitata con un capitale sociale di 400.000 lire e 9 macchine in funzione salite in pochi anni a 37, 15 nella fabbrica di via Dos Trento, per la produzione di broccami e 22 nell’altra fabbrica di corso Buonarroti.

Erano macchine ad alta definizione, che permisero alla fabbrica di incrementare la produzione, tanto che l’edificio di via Dos Trento raggiunse un’estensione di 2500 metri quadrati. Esso comprendeva la sala macchine, i locali per la trafileria, per i forni, per l’officina d’attrezzaggio, l’officina per le riparazioni e la costruzione di macchinari, oltre a un locale per la pulitura del broccame, uno per l’imballaggio, tre magazzini ed infine lo studio e le abitazioni del direttore tecnico e del custode. Nonostante l’incremento produttivo, la I.M.B.E.T., attanagliata dalla mancanza di capitali, cessa l’attività nel 1927.

Nel 1935, tuttavia, A.Pranzelores, nella sua guida “Il Dos Trento” scrive che “due fabbriche di broccami di ferro stanno a greco (nord est) del Dos Trento, sulla via Dos Trento, una sulla destra e una sulla sinistra”. Ciò significa che, nonostante la liquidazione e la cessata attività ricordata dagli atti della Camera di Commercio e Industria di Trento, l’attività metallurgica era proseguita in via Dos Trento.

Non si riesce a stabilire con esattezza se la società per azioni “STABILIMENTI METALLURGICI TRENTINI S.p.A.”. costituita nel febbraio 1928 con sede in via Dos Trento n.13 fosse la prosecuzione della I.M.B.ET. ma sicuramente fu la società che occupò inseguito lo stabilimento della Hallier & Vavpetic fino alla fine degli anni ’70 e che ricordiamo come “La fabbrica delle brocche”.

Tempo fa ebbi occasione di parlare con Ruggero Menestrina “pedecastelot” di nascita, il quale mi raccontò che quando era ragazzino lavorò per un breve periodo proprio in quella fabbrica e mi spiegò che: –

“Appena terminata la seconda guerra mondiale molti ragazzi chiedevano di essere assunti stagionalmente in estate come aiutanti mentre in inverno rimanevano in fabbrica solo gli anziani.

In un lungo capannone si costruivano chiodi – ribattini – cerniere.

La fabbrica era azionata da un unico grandissimo motore che, con un pulsante, si avviava lentamente e acquistava progressivamente velocità negli scatti. Esso era collegato a numerose macchine con una puleggia, ovvero una ruota con un perno centrale, che metteva in contatto tutte le macchine ed ognuna operava su chiodi o ribattini di diverse dimensioni.

Prima dell’uso, le matasse di ferro che servivano per fare i chiodi, venivano immerse in un bagno di acido per la pulitura e l’acido veniva sversato nelle acque del fosso che passava lungo via Dos Trento.
Per fare i chiodi, il filo di ferro entrava nella macchina, poi attraverso due morsetti usciva il pezzo di ferro della dimensione voluta e difronte vi era un martinetto che schiacciava la testa del chiodo mentre, dall’altra parte, altri due macchinari schiacciavano il ferro per formare la punta, quindi il chiodo finito cadeva nelle ceste.

Alcuni ragazzi avevano il compito di ritirare i chiodi finiti e controllare che la testa e la punta fossero perfetti.

Le macchine erano circa venti su ogni parete ed il rumore provocato era tremendo. Gli operai erano circa una ventina. Le cerniere venivano costruite quasi esclusivamente dai ragazzi dai quattordici anni in su ed in condizioni di lavoro molto disagiate.

Anche gli incidenti erano frequenti, egli stesso perse un falange durante il lavoro.

La pulizia dei prodotti veniva fatta a mola per otto ore al giorno e senza nessuna protezione contro la polvere metallica di scarto. Il rumore era ad un livello tale che gli operai per parlarsi o avvertirsi su problemi alle macchine usavano l’alfabeto a gesti perché era impossibile capirsi.

I contratti erano in apprendistato e solo due o tre attrezzisti erano a tempo continuato e questi avevano anche il compito di riparare i macchinari.”

I ricordi delle persone che fino al termine degli anni ‘70 abitavano in zona e lavorarono nella fabbrica sono tantissimi ma in particolare vorrei riportare ciò che ha scritto Giuseppina Rotella, figlia di una delle persone che operarono come custodi della fabbrica e che trascorse gli anni della sua infanzia proprio nell’alloggio annesso: –

“STABILIMENTI METALLURGICI TRENTINI” scritto a caratteri cubitali, sovrastava l’edificio della “fabbrica delle brocche”.
Il grande cancello d’entrata si apriva per mano della portinaia, un’emigrante calabrese.
Gli operai, alcuni in motocicletta, giungevano nelle mattine d’inverno bardati come guerrieri in vecchi cappotti di lana e berretti e sciarpe, per difendersi dal freddo pungente.
Una sirena scandiva l’inizio e la fine dei turni di lavoro che erano a ritmo continuo.
La fabbrica produceva chiodi di giorno e di notte e pure un rumore forte, incessante, martellante e ritmico come un cuore pulsante.
Il giorno dell’incidente che causò la morte di un operaio, cessò di battere. Scese un silenzio che nessuno avrebbe mai voluto udire.”

Con l’alluvione del 1966 , la fabbrica subì forti danni e con l’abbattimento dello stabilimento e del lungo caseggiato che si trovava a poca distanza da esso sulla stessa via, dapprima sorto come “Lavoratorio d’Artiglieria” (1922) e dopo la guerra dato in uso come abitazione, alla fine degli anni ’70 il paesaggio fu oggetto di tali cambiamenti che mutò radicalmente e velocemente.

La strada sterrata venne asfaltata, il ruscello che passava a lato venne coperto dal marciapiede, molte delle vecchie costruzioni che si trovavano lungo la via vennero rase al suolo ed al loro posto sorsero nuove case. Tutta la campagna che circondava la zona a poco a poco venne sostituita con nuovi edifici ed il traffico cominciò ad entrare nel quotidiano della vita con tutti i risvolti positivi e negativi.

Laura Postinghel Tomasi

Documenti tratti da: Biblioteca Comunale di Trento – Fondo Storico Bibliografico del Servizio Documentazione della C.C.I.A.A. di Trento – Registro Ditte della Camera di Commercio e Industria del Trentino in Rovereto